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Epistulae Aliae 2
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2.

Pietro Bembo a Pietro Faraone

Roma, 15 aprile 1540

Lettera di accompagnamento della risposta inviata da Bembo al Maurolico ( VIII ) in seguito alla dedica della Cosmographia (Ed. Travi, IV, n. 2183, pp. 301-302).

A M. Pietro Faraone. A Messina

Molto Magnifico Signore il mio M. Pietro, Dio vi salvi. Ebbi le vostre amorevolissime e dolcissime lettere già presso che due mesi, insieme col dotto e singular libro del nostro M. Francesco Maurolico, che esso m'ha donato per sua pura cortesia, pur non l'avendo io in parte alcuna meritato, ché niente avea fatto per lui. Il qual libro io lessi con molta avidità, et èmmi paruto vie maggior cosa, e più bella e vaga composizione che io non aspettava, sì come a lui scrivo. Del quale dono, oltra quello che io a lui ne rendo grazia immortale, ne rendo anco a V.S. molta, ché sète stato compositore della nostra amistà, e prima e piena di lei cagione. Né mai verrà tempo che io non estimi esservi tenuto di ciò infinitamente. Quella parte delle vostre lettere, con la quale V.S. si rallegra della mia dignità, e giugne che, se stato foste alquanto men carico d'occupazioni, sareste venuto a Roma per vedermi, m'è carissima e gratissima stata, ché mi fa chiaramente vedere quale e quanto è l'amore verso me vostro. Né io arei potuto persona alcuna vedere più volentieri di voi, massimamente poscia che mi fate intendere esser figliuolo, e non nipote della buona memoria del mio caro e Illustre M. Angelo Faraone; il che io non credea. E ora mi torna all'animo che io v'ho veduto fanciulletto, e conosciuto in Messina, se io non m'inganno, col detto vostro padre: a cui sempre ubligatissimo sono stato dell'amore mostratomi, e degli uffici e cortesie molte fattemi, in quel tempo, che io vi stetti, da lui. E se ora rivedere potuti non ci siamo, non è da non isperare di poterci ciò venir fatto alcuna altra volta. Ché, come che io sia ora nell'anno settantesimo della mia vita, pur sono, la Dio mercé, assai ancor saldo, e in nessuna parte cagionevole della persona. E se io fossi dove voi sète, crederei un'altra volta e volere e poter risalire e rivedere il vostro incomparabile e maraviglioso monte Etna. Della persuasione che V.S. mi dice aver fatta a messer Francesco di venire a Roma, non so che vi rispondere a questo tempo, ché dall'una parte vorrei vederlo qui e abbracciarlo, e dall'altra non truovo questo cielo acconcio a riconoscere e ad onorare la sua molta virtù. E in lui mi piace grandemente quello che V.S. mi dice, ch'esso non sa partirsi delle sua camera, nella quale egli dà così bella e cara opera a' suoi studi. N.S. Dio potrà disporre un dì di questo mondo a più sua comodità e dignità. Il che quando fia, io il farò intendere a V.S. e a lui. Restami da dire a V.S. che, se io sono stato assai tardo in rispondere all'uno e al'altro di voi, mi scusiate con le molte e continue occupazioni che io ho, le quali poca ora o più tosto non niuna riposare e quetar mi lasciano. Priego ultimamente V.S. che se io son buono a far cosa che vi piaccia, non v'incresca d'usarmi e adoperarmi, ché per pochi amici miei farei quello che a far prenderei per V.S. e so che il poterlo fare m'apporterebbe gran dolcezza. Stia sana V.S., e me ami come io amo et onore lei. Alli 15 d'Aprile 1540. Di Roma.

Antico fratello di V.S. P. Car.l Bembo.

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